Il genio che si sentiva una pulce
Teoria e stranezze della sindrome dell’impostore.
impostóre s. m. (f. -a) [dal lat. tardo impostor -oris, der. di imponĕre nel senso di «far credere»]. – Chi, abusando della credulità altrui e allo scopo di trarne vantaggio, fa uso sistematico della menzogna, o finge di essere e di sapere più di quanto sia e sappia, o diffonde teorie, informazioni false: non è uno scienziato, ma solo un i.; la comunità scientifica lo ha sempre considerato un i.; l’ipocrita ha meno parole, l’impostore è loquace, cerca le moltitudini da ingannare (Tommaseo).
Enciclopedia Treccani
Penso spesso a certi miei professori, universitari, di corsi di eccellenza e specialistici.
In alcuni che posso anche aver incontrato solo una volta spesso rintraccio spiccate caratteristiche narcisistiche, un po’ come se in faccia avessero scritto “io sono una figura”, “io sono arrivato” o per dirla col marchese del Grillo “io so’ io, e voi non siete un cazzo”. Ci tengo a dire che non li biasimo, si tratta di una scelta che fanno e che probabilmente li aiuta a dare il meglio di loro, anzi penso proprio che molti di loro si meritino ciò che hanno raggiunto e che abbiano tutto il diritto di mostrarlo al mondo, anche solo con gli atteggiamenti posturali; è anche la cosa che ci si aspetta di più all’esterno: “sei un Cristo quindi ti sentirai tale”.
Poi penso a quegli autentici campioni, i “Maradona della scienza o della clinica”, assolutamente consapevoli di se stessi e delle loro competenze, mai paghi dei loro successi e al contempo per niente inclini a mostrarli all’esterno. Di solito questi ti fanno dire “Boia..ma come fa? E poi non se la tira neanche… che grande!”. Direi una bugia se vi dicessi che non vorrei diventare come loro. Sono di solito i nostri modelli, se non ci si sbaglia e si sceglie un narcisista come modello (ma questa è un’altra storia).
Una terza categoria, che vedremo in un prossimo articolo con l’effetto Dunning-Kruger, sono i “palloni gonfiati”. A rigor del vero, e a dispetto di quanto ci si potrebbe aspettare, non ne ho incontrati molti.
Senza pensare a tutta quella serie di professori cosiddetti ordinari, che non sono né geni, né palloni gonfiati, né autentici campioni, ma “soltanto” bravi professionisti con una visione sufficientemente equilibrata di sé e degli altri, che svolgono in maniera decorosa il loro lavoro. Di questi normalmente, fra compagni di corso si dice “lui è bravo, spiega bene” “mi sembra proprio una persona brava e competente” e nulla di più. Di questi ne ho incontrati, per fortuna, moltissimi.
Infine la categoria che ritengo più interessante, per il semplice fatto che fino ad oggi non ero mai riuscito a spiegarmene minimamente le dinamiche, sono “i sabotatori di se stessi”.
A questa elaborazione mi ha aiutato lo scoprire, fra i post di Facebook (eh oh…), la “sindrome dell’impostore”, termine coniato nel 1978 da Pauline Clance e Suzanne Imes ad indicare un fenomeno psicologico per il quale certe persone non sono in grado di interiorizzare i loro successi e, nei casi più gravi, si formano la convinzione di essere degli impostori che non meritano i successi ottenuti nonostante l’evidenza delle competenze dimostrate. Tipicamente queste persone tendono ad attribuire il proprio successo a fortuna, tempismo o, al più, ad abilità a simulare più intelligenza e preparazione di quanto l’ambiente esterno attribuisce loro. Last but not least, queste persone vivono con un forte senso di colpa e vergogna la loro presunta (da loro) fortuna e possono finire col sabotarsi per compensare i mirabili risultati raggiunti.
Dopo aver letto qualcosa al riguardo mi si è aperto un mondo: mentre solo pochissimi professori li ho trovati, per così dire, “sofferenti” di questo processo psicologico è più frequente che abbia incontrato o conosciuto studiosi, dottorandi di altissima intelligenza, giovani e grandi musicisti, acuti professionisti nel settore sanitario e non solo, con i tipici comportamenti da persona che si sottovaluta o, ancor peggio, si sabota. Sono i classici individui a cui senti dire con franca sincerità “la gente mi dice ‘bravo’…ma cosa avrò mai fatto di bello?” “ma non ho fatto nulla di che” “tu vedi in me cose che non esistono, io sono un fallito”, e ancora “sì, è vero, ho preso 110 e lode, guadagno più di 3000 euro al mese, le persone dicono di stare bene, ma io non mi merito un centesimo. Sto facendo delle cose che una persona dotata di un minimo di buon senso potrebbe fare gratis. La gente pensa che io sia un genio, un grande professionista. Non è vero! Mi vergogno di sfruttare le persone così”.
Queste persone sembrano essere, in vario grado, tutte accomunate da elevate aspettative su se stessi, da una gran senso di responsabilità, da una smisurata inclinazione alla rimessa in discussione ma anche, e qui nasce il problema, da un’elevata suscettibilità alla frustrazione e da un fatale blind spot, ovvero una chiara inconsapevolezza di se stessi, come se non riuscissero a guardarsi con gli occhi di qualcun altro. Quest’ultimo punto li differenzia dai campioni perché i campioni SANNO di essere tali e accettano oneri e onori dell’essere campioni. Il penultimo punto li differenzia inoltre dalla categoria degli ordinari e buoni professori, i quali non hanno nelle loro corde una reattività emozionale tale da attivare vissuti tanto pervasivi di vergogna e senso di colpa.
La cosa più perversa è il senso di colpa e la vergogna, in certi casi forti come la paura di morire o di impazzire durante un attacco di panico, oppure logoranti come la depressione, che possono portare queste persone a rovinarsi letteralmente. Un modo per iniziare ad imboccare la via d’uscita da questa trappola mentale è ridurre subito le aspettative su di sé e godere dei propri risultati positivi dicendosi spesso la parolina magica “bravo”… piano piano, come con l’assertività, si impara a crederci davvero.
Nel prossimo articolo parlerò dell’effetto Dunning-Kruger, che leggo in varie fonti, essere considerato il contraltare della sindrome dell’impostore.
A presto su questi teleschermi!
Pauline Clance, The Impostor Phenomenon: Overcoming the Fear That Haunts Your Success, Atlanta, Peachtree Publishers, 1985
Benedict Carey, Feel Like a Fraud? At Times, Maybe You Should, in The New York Times, 5 febbraio 2008.
http://www.apa.org/gradpsych/2013/11/fraud.aspx
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